Coniugi Amsterdamer

Israel Isidoro Amsterdamer, figlio di David Amsterdamer e Nacha Schamschwitel è nato in Polonia a Cestochowa il 19 aprile 1899. Coniugato con Lea Isa Rosenbaum, nel 1928 si trasferì a Fiume.

Lea Isa Rosenbaum, figlia di Salomone Rosenbaum e Rosa Schenkarski è nata in Polonia a Zarjerce l’1 aprile 1906. Coniugata con Israel Isidoro Amsterdamer, casalinga. Nel 1927 si trasferì a Fiume.

Entrambi furono registrati dalla questura di Milano come ebrei stranieri. Israel, nel 1931 aveva aperto un salone di parrucchiere per signora, il “Regina”, a Fiume.

Nel 1934 è fermato una prima volta per “confronti” [Ros31].

Il 16 ottobre 1939 Israel viene fermato con altri due ebrei e un italiano per “traffico clandestino di valuta” e cioè per aver venduto franchi svizzeri (520) e lire sterline (13) del valore in lire di 4.750 a un cambio superiore a quello ufficiale. Dal documento di polizia si evince una parte della storia personale di Israel; non risultava politicamente attivo. La polizia propone l’espulsione per lui e la moglie. In vista dell’espulsione, Israel vende il salone a un italiano per 16.000 lire (circa 14.000 euro odierni) [Ros1-Ros2].

Il 5 gennaio è messo in libertà ma sottoposto a vigilanza [Ros6]

I coniugi, con altri ebrei, tentarono di partire per Bengasi (Libia) nel 1940 per cercare di raggiungere la Palestina, col benestare della divisione polizia politica [Ros15-Ros7-Ros9] ma quello stesso anno furono internati nel campo di concentramento di Ferramonti di Tarsia (CS) prima del 16 settembre 1940 [Ros8].

Il 2 febbraio 1941 Israel scrive alla Santa Sede [Ros13].

Esprimono preferenza per un trasferimento al nord, e finiscono dapprima a Quero, nel bellunese [Ros4-Ros16].

Il 14 ottobre 1941 il Ministero dell’Interno scrive a Cosenza per sapere dell’esito del trasferimento [ros17-ros19]. Successivamente sono trasferiti sempre nella stessa provincia a Puos d’Alpago, “perché non avevano ancora trovato alloggio” [ros26].

Il 25 novembre 1941 Israel scrive al Ministero per chiedere che il sussidio della moglie sia ripristinato nella sua interezza, come a Ferramonti [Ros23-24]. La domanda è respinta il 7 dicembre [Ros25].

Il 29 novembre il prefetto segnala che i coniugi desiderano trasferirsi in località più mite per le condizioni di salute della moglie [Ros21]. Il 4 dicembre dal Ministero si prescrive una visita per stabilire le condizioni di salute della donna [Ros22]. Il 17 dicembre 1941 sono a Puos d’Alpago (BL), dove lasciano insoluti dei conti in un’osteria. Dal bellunese vengono mandati nel pesarese nel febbraio ’42 [ros27-ros28], a Tavoleto (Ps) dove arrivano il 17 marzo 1942 [Ros30].

Il Prefetto di Belluno comunica la buona condotta dei due e la necessità del sussidio [Ros29] Da qui vengono espulsi per mancanza di alloggi, e inviati il 28 marzo 1942 a Fermignano, fino al 2 dicembre, in via Umberto I (ora Martiri della Libertà).

Il 25 maggio 1942 Israel scrive per chiedere il permesso di visitare la moglie ricoverata in ospedale a Fiume per problemi respiratori e ortopedici [Ros32-36]. Il 29 maggio scrive anche la moglie, allegando certificati medici [Ros35] La domanda è respinta [Ros37]. Il 28 maggio viene dimessa [Ros33].

Il 23 luglio 1942 Lea viene arrestata perché, sorpresa a teatro “a tarda ora”, e multata di 200 lire, non poteva pagare; viene così trattenuta per quattro giorni in carcere. La prefettura lo comunica al Ministero [Ros39].

Il 23 agosto Lea scrive al ministero per richiedere un contributo per l’acquisto di un busto ortopedico [Ros40]. Il 23 settembre 1942 il ministero dispone una visita per verificare l’esigenza [Ros43]. Il 17 ottobre il medico provinciale scrive l’esito della visita, significando che la Rosenbaum effittivamente abbisogna di un busto [Ros47-Ros48].

Il 29 ottobre la prefettura di Pesaro-Urbino comunica a Roma la richiesta di Israel di ricevere un sussidio straordinario per saldare il debito con l’albergatore di Puos [Ros46]. Scrive anche Israel [Ros45].

Il 18 novembre 1942 Lea scrive al ministero per sollecitare la risposta in merito al contributo per l’acquisto del busto ortopedico, e richiede inoltre di potersi recare a Bologna per una visita medica [ros49].

Il 03/12/1943, nell’ambito di una serie di arresti mirati agli ebrei presenti nella provincia di Pesaro, i due coniugi furono arrestati;

lei lasciata libera perché malata, lui rinchiuso in carcere a Urbino. Viene rilasciato a gennaio 44 per accudire la moglie. Il 7 giugno esplode un treno carico di munizioni,e la popolazione viene fatta sfollare in campagna, inclusi gli ebrei internati. Gli Amsterdamer vanno in località Ca Lozzo, dove il 6 agosto viene arrestato lui.

Le SS arrestarono Israel Amsterdamer il 06/08/1944 e lo portarono al carcere di Forlì. La moglie Lea Rosenbaum fu trasferita alle carceri di Forlì il 12/08/1944.

Dal sito Pro Urbino

Ancora più tragica la storia dell’altra coppia, arrestata lo stesso giorno a Fermignano: sono entrambi polacchi, Israel Amsterdamer di 45 anni e sua moglie Lea Rosenbaum di 38. Appena sposati si erano imbarcati a Trieste nel 1940, diretti, via Siracusa, a Bengasi per poi raggiungere con altri fuggitivi la Palestina, aggirando il blocco navale inglese che impediva lo sbarco agli ebrei provenienti dall’Europa. Era questo un “favore” che la Gran Bretagna faceva agli arabi per non compromettere i propri interessi a Suez. Purtroppo, a causa dell’entrata in guerra dell’Italia, il gruppo, che contava 302 persone, rimase bloccato nel settembre del ’40 a Bengasi, e fu riportato in Italia nel campo di internamento per ebrei stranieri di Ferramonti. Israel e Lea furono i soli ad essere trasferiti nel campo di internamento di Fermignano. Una tragica fatalità poiché quanti rimasero a Ferramonti, furono i primi ad essere liberati dalle truppe alleate che risalivano la penisola.

Coniugi Brumer-Rosenbaum

Bernhard Brumer, figlio di Arnold Brumer, di religione ebraica, e Amalia Planes, di fede cattolica, è nato in Austria a Vienna il 18 febbraio 1894. Prima operaio e poi dirigente d’azienda. Coniugato con Elena Rosenbaum con rito ebraico il 19 gennaio 1920.

Helene Rosenbaum, nata a Vienna il 21 febbraio 1894, è una dei quattro figli di Armin Rosenbaum e Henriette Uberall, con Wilma, Erest e Emmy. Casalinga, sposata con Bernhard Brumer con rito ebraico il 19 gennaio 1920.

Entrambi furono arrestati a Cesena a inizio agosto 1944. Detenuto al carcere di Forlì, morti nell’eccidio del campo d’aviazione di Forlì, Bernhard il 5 settembre 1944, Helene il 17.

Famiglia Brumer

Lo stesso Bernard si professava di religione ebraica, anche se non aveva mai fatto parte di alcuna comunità né in Austria né in Italia. Nè, a suo dire, è mai stato iscritto ad alcun partito politico. Il padre era operaio meccanico specializzato in una fabbrica di orologi; la madre si sposò in seconde nozze con un possidente rurale ariano, tale Josef Lehner, cattolico, da cui ebbe cinque figli, uno dei quali divenne soldato dell’esercito nazista.

Lettera di Bernhard Brumer che ripercorre la sua biografia e chiede il prolungamento della licenza di rimanere nel Regno (13 ottobre 1938)

Famiglia Rosenbaum

Il padre di Helene, che possedeva una fabbrica di suppellettili d’argento a Mahrisch, si decise ad abbandonare la religione ebraica nel 1907, a seguito dell’ascesa di Karl Lueger, cristiano-sociale, antisemita, a lungo borgomastro di Vienna. La scelta fu maturata nella speranza di evitare future persecuzioni alla famiglia. Armin rimase ateo per tutta la vita. La moglie avrebbe abbandonato la religione ebraica solo nel 1942.
Dei suoi figli, solo Helene e Wilma rimasero fedeli alla religione ebraica. L’ultimogenita, Wilelmina, fu battezzata secondo rito protestante, mentre Ernest, al ritorno dal fronte italiano della Prima guerra mondiale, si convertì alla religione evangelica nel 1919.
Nel 1911 la famiglia Rosenbaum, ceduta la fabbrica di Mahrisch, era tornata a Vienna, dove nel 1914 Armin accettò la direzione di una fabbrica di conserve riservate alle forniture dell’esercito. Per il suo lavoro dovette partire per la lontana Galizia orientale. Fu coinvolto dell’assedio di Prezmysl, vicenda che racconta nel suo diario. Caduta la città il 22 marzo 1915 in mano russa, fu deportato in Kazakistan, da dove tornerà solo tre anni dopo.

Carriera militare di Bernhard

Operaio dall’età di 14 anni, allo scoppio della Grande Guerra si arruolò tra le fila dell’esercito austro-ungarico, fu ferito e in seguito costretto a fuggire dalla prigionia russa. Al rientro in patria, tornò a servire l’esercito, guadagnandosi una medaglia al valor militare, una per il ferimento in combattimento, una Croce dell’Imperatore per i combattenti, e una croce per meriti militari di terza classe.

Traduzione del certificato di conferimento delle medaglie a Bernhard

Imprenditoria

Al ritorno dalla guerra, fu impiegato presso la ditta Thonet-Mundus, che produceva famosi mobili in legno curvato. Il 19 gennaio 1920 si sposò a Vienna, con rito ebraico, con Helene Rosenbaum, e nel 1922 ottenne la direzione della Casa italiana Fratelli Thonet, con sede a Milano (prima Piazza del Duomo, poi Via Camperio, 14). Per questo motivo nel 1922 i coniugi si trasferirono in Italia, prima a La Spezia, poi a Genova e infine a Milano, prima in via Monte Bianco, poi in Viale Sabotino, 6, e infine in via Monte Rosa 14. L’attività imprenditoriale assicurò ai coniugi anni di agiatezza. Nel 1926 Helene fu raggiunta in Italia dal fratello Ernst, che fu assunto come commesso viaggiatore per Bernhard. Nel ’28 Ernst conobbe la sua futura moglie, Afra Rebecchi. (fonte: comune di Cesena) Dopo la crisi del 1929 e il fallimento e la liquidazione della Fratelli Thonet, Bernhard intraprese una carriera indipendente come concessionario di vendita, entrando in relazione di affari con molte fabbriche italiane; in principio, con la Soc. An. Antonio Volpe, fabbrica di mobili curvati di Udine, e in seguito la cesenaticense ADAC di Augusto Degli Angeli. Nel 1934 muore Armin, padre di Helene; la madre, rimasta vedova, si trasferisce a Milano dalla figlia.

Lettere di stima della ditta Volpi: a sinistra datata 23 dicembre 1937 e a destra datata 23 luglio 1940

Fascismo

Come scrive egli stesso, sin dall’ingresso nel Regno si professa fervente fascista anche nelle numerosi occasioni di lavoro che lo portano in giro per l’Italia (nelle sue parole: “ben conoscendo gli orrori del bolscevismo”). Durante la campagna d’Etiopia, Brumer scrive una lettera che viene pubblicata dal Corriere della Sera a sostegno dell’Italia. La moglie, inoltre, dona in omaggio la propria fede d’oro allo Stato italiano. Lui stesso dona le medaglie austriache al Gruppo Crespi di Milano nel gennaio 1936. Sul perché non abbia richiesto la cittadinanza italiana, né lui né la moglie, nei 16 anni intercorsi tra il 1922 e il 1938, lui afferma che l’avrebbe fatto qualora avesse avuto dei figli, ma questo non è successo.

L’arresto

Fu censito come ebreo straniero nel 1938. La prima ripercussione fu il dover rinunciare alla domestica ariana che si occupava della madre di Helene. Nell’ottobre di quell’anno, Bernhard redasse una lettera che descriveva la sua vita per inviarla al Ministero dell’Interno. Successivamente, dovette richiedere permessi annuali per permanere nel Regno (la legge n.1728 1938 richiedeva l’espulsione degli ebrei stranieri), motivandoli con le necessità di mantenimento e assistenza della moglie e della suocera, ma del ricorso del 13 novembre 1938 non ebbe risposta. Il 3 aprile 1939 viene concesso, anche se si conferma che continua il controllo di vigilanza.

Nel frattempo anche alcuni famigliari di Helene subiscono la persecuzione nazista. Dopo l’Anschluss dell’aprile 1938, il cognato Leo Widler, marito della sorella Wilma, fu internato a Dachau (e poi a Buchenwald), ma nel 1939 fu rilasciato e riparò in Inghilterra. Wilelmina, sua sorella, riuscì a lasciare l’Austria, riparando in Svizzera; fuggirà poi in Repubblica Dominicana, e di lì negli Stati Uniti.

La sorte di Ernst
Il 12 luglio 1939 viene arrestato il fratello di Elena, Ernst; il 29 viene trasferito nel campo di concentramento di Urbisaglia, nelle Marche. Nel tentativo di essere rilasciato, nel maggio 1941 si convertì al cattolicesimo, e in agosto si sposò per procura con rito cattolico con la moglie Afra, che per questo si recò a Roma, in San Giovanni in Laterano. Grazie all’interessamento della diplomazia vaticana, riuscì a essere rilasciato da Urbisaglia in licenza, che poi fu prolungata e trasformata in “libero internamento” dall’aprile 1942 nel campo di Aprica. Ernesto si ammalò nella primavera del 1943 e rimase paralizzato.

Il 21 ottobre 1940 Bernhard venne convocato al commissariato di P.S. di Via Panizza in quanto ebreo straniero e perché “con la sua condotta ha dato luogo a sospetti; dopo un breve periodo trascorso nelle carceri di via Filangeri, periodo in cui prova a far riesaminare la sua posizione, il 4 novembre fu assegnato al campo di internamento di Nereto (TE), dove giunse il 16 novembre, mentre Elena e la madre rimasero a Milano.

Il 28 novembre 1940 la madre di Elena, Henriette, scrive (alla questura?) per comunicare le sue condizioni di salute e la sua avanzata età (72 anni), con visto legalizzato di un medico (arteriosclerosi e miocardite, ipodermia, varici agli arti inferiori, e dire che non può vivere sola.

Lettera della madre
di Elena Brumer del 28 novembre 1940

Internamento a Nereto

Il 13 dicembre 1940 scrive per chiedere di essere rilasciato, e invia copie dei brevetti delle sue medaglie e delle lettere di stima ricevute dalle ditte con cui ha lavorato, del ricorso inviato nel 1938 per proroga di permaenza, certificati medici della nuora e della moglie.

Lettera del 13 dicembre 1940 in cui Brumerchiede di essere rilasciato

La domanda viene respinta il 29 novembre 1940, l’esito gli è comunicato il 6 gennaio 1941.

Comunicazione del Ministero dell’Interno che nega la revoca del provvedimento
di internamento per Brumer,
6 gennaio 1941

A Nereto si fa ben volere dai compagni di internamento e diviene fiduciario di un intero gruppo di internati.

Promemoria di Brumer
scritto a Nereto

Il 26 febbraio 1941 la Prefettura di Milano dà parere contrario alla richiesta di una licenza di ritorno a Milano (brum29)

Il parere della Prefettura di Milano del 26 febbraio 1941

Degli Angeli

Augusto Degli Angeli, che col tempo ne aveva apprezzato le doti professionali e umane, più volte scrisse personalmente alla direzione del campo di Nereto e alla prefettura per chiedere che si concedesse a Bernard Brumer una licenza. Dapprima chiede solo quattro o cinque settimane, in seguito chiederà 3 mesi, 6 mesi, sempre chiedendo che i permessi venissero prolungati. Nelle varie lettere Degli Angeli spiegava che Brumer era fondamentale per l’interesse della fabbrica romagnola, e arrivò a paventare la chiusura dell’azienda, qualora non avesse potuto avere con sé il suo collaboratore.

Certificato della ditta ADAC dal registro delle ditte di Forlì

La prima comunicazione è trasmessa il 31 ottobre 1940 per certificare che Brumer ha lavorato per l’Adac e portato importanti cognizioni tecniche per la lavorazione del legno, e informare che l’assenza di Brumer dà problemi all’azienda, che si vede costretta a pensare a dei licenziamenti.

Lettera di Augusto Degli Angeli
su carta intestata ADAC
per certificare il lavoro di Brumer presso l’azienda e la sua importanza

Dopo un periodo di andirivieni tra Nereto e Cesenatico (FC) a seguito di continue richieste di permessi temporanei, grazie anche all’aiuto del maresciallo dei Carabinieri di Cesenatico, Enrico Pellegrini, che esprime sempre pareri favorevoli alla proroga dei permessi temporanei, e dell’interessamento personale di Rachele Mussolini, che conosceva la fabbrica, Bernhard ottenne dal giugno del 1941 una proroga duratura. Degli Angeli oltre al lavoro di direttore offrì anche ospitalità alla moglie e alla suocera di Bernhard, e queste tra agosto e settembre 1941 lo raggiunsero a Cesenatico. Per mettersi al riparo dal probabile incrudelire della situazione, nella primavera del 1942 i tre si battezzarono, ma neanche questo servì loro. Nel novembre 1943 si interessò di Brumer un parroco romano, Giovanni Di Ciscato, che chiese udienza con l’Ufficio internati civili per ottenere il trasferimento definitivo a Cesenatico di Brumer, che ancora risultava internato a Nereto.

In una delle ultime lettere inviate alle autorità, nel 1943, Degli Angeli ribadisce la fede fascista di Brumer e l’attivismo anti-comunista riferendo di episodi in cui egli si era opposto all’assunzione di un comunista, o al licenziamento di uno squadrista.

Lettera di Augusto Degli Angeli del 12 dicembre 1943 che richiede un trasferimento definitivo a Cesenatico

Riepilogo permessi

permesso 14 maggio 1941 – 29 maggio 1941 (prorogato al 9 giugno)

Il 10 gennaio 1941 Degli Angeli chiede una licenza di 4-5 settimane, istanza pervenuta a Nereto il 20 gennaio 1941. Il primo aprile 1941 la prefettura di Forlì dà parere favorevole e il 14 aprile lo scrive al Ministero che gli concede 15 giorni.

Il 13 maggio la prefettura comunica che Brumer è arrivato a Cesenatico per i 15 giorni di permesso.

Il 25 maggio 1941 un rappresentante della ditta Degli Angeli, Giovanni (cognome incomprensibile) chiede udienza per una proroga della licenza concessa a Brumer. Il 29 maggio termina il permesso di 15 giorni e dev’essere riaccompagnato a Nereto.

Il 31 maggio arriva al ministero il telegramma con cui Degli Angeli chiede proroga della licenza scadente quel giorno.

Il prefetto concede la proroga il 31 maggio fino al 9 giugno 1941. Il 10 torna a Teramo.

Permesso 28 giugno 1941 – 29 settembre 1941 (Prorogato di altri tre mesi)

Il 28 giugno parte da Teramo per Forlì per un permesso di tre mesi, poi prorogato di altri tre mesi.

Permessi del 1942

Il 3 febbraio 1942 scrive una lettera in cui testimonia anche degli Angeli per chiedere di spostare l’internamento da Nereto a Cesenatico.

Il 12 marzo ’42 Degli Angeli chiede proroga di licenza scadente il 29 marzo per altri tre mesi. Il 9 aprile 1942 la prefettura di Forlì chiede al Ministero determinazioni in merito alla proroga di licenza a Brumer. La proroga è concessa; l’11 maggio 1942 Degli Angeli chiede una proroga per la licenza in scadenza il 29 giugno 1942 fino a dicembre 1942, quindi sei mesi. (brum70)

il 18 maggio la prefettura di Forlì comunica sei mesi di richiesta proroga, e dà parere favorevole. La licenza viene prorogata di tre mesi.
In agosto viene richiesta un’altra proroga di tre mesi; i carabinieri di Cesenatico danno parere favorevole perché la presenza di Brumer è necessaria al buon andamento dell’azienda (4 agosto 1942).
Il 17 agosto 1942 la Prefettura di Forlì accetta l’istanza di Degli Angeli per la proroga di tre mesi a una licenza che doveva scadere il 29 settembre 1942 (brum75)

Il 4 novembre 1942 Degli Angeli chiede la proroga della licenza in scadenza il 29 dicembre fino a marzo 1943.

Il 16 novembre 1942 il parroco Giovanni Di Ciscato, di Roma, chiede un’udienza al Ministero dell’Interno per chiedere il definitivo trasferimento di Brumer a Cesenatico.

Permessi del 1943

Il 15 febbraio 1943 Degli Angeli chiede una proroga di tre mesi alla licenza in scadenza il 29 marzo. Il 26 febbraio la Prefettura di Forlì dà parere favorevole. L’8 maggio 1943 Degli Angeli scrive per chiedere un prolungamento di tre mesi alla licenza in scadenza il 29 giugno (brum86). Il 12 maggio 1943 la stazione carabinieri di Cesenatico dà parere favorevole. Il 24 maggio la prefettura di Forlì comunica al ministero la richiesta e dà parere favorevole ad altri tre mesi di proroga. Il 12 dicembre 1943 Degli Angeli scrive per esplicitare la necessità di avere Brumer a disposizione, e non in campo di concentramento, definendolo “non ebreo di fatto”.

La clandestinità

Nel dicembre 1943 Brumer si nascose con la moglie e la suocera a San Vittore di Cesena (FC) nella casa colonica del parroco di Cesenatico, Lazzaro Urbini. Questi convinse Bernhard della necessità di darsi alla clandestinità, cambiando identità, fino alla fine della guerra.
Furono nascosti in un podere della famiglia Urbini a San Vittore di Cesena, e dotati di documenti falsi. Degli Angeli continuava ad aiutarlo inviando cibo e denaro (fonte: Istituto Storico della Resistenza di Forlì)

Don Lazzaro Urbini
Nato a Cesena il 25 marzo 1912, fu ordinato sacerdote il 6 aprile 1935. Nel 1942 diventa cappellano militare. In quegli anni si adoperò per salvare perseguitati politici, ebrei, partigiani, inglese e anche fascisti. Morì il 1° ottobre 1944. Proprio dopo aver celebrato messa, era intervenuto per prestare soccorso ad alcuni feriti portati nell’ospedale antistante la Chiesa di San GIacomo; mentre si trovava nell’atrio, venne ucciso dallo scoppio di alcune granate lanciate sull’atrio dell’ospedale.

L’arresto

Questa rete di solidarietà non bastò tuttavia a salvare i coniugi Brumer, che furono arrestati il 9 (Bernhard) e il 10 (Helene) agosto 1944 dal segretario del fascio di Cesena, Guido Garaffoni, a San Vittore di Cesena nell’ambito di una serie di arresti ordinati dal SD di Forlì.

Mattinale della Questura di Forlì dell’11 agosto 1944 in cui si comunica l’arresto a Cesena di Bernhard ed Helena

L’arresto si verificò a seguito di una delazione (o confessione estorta con la tortura), da fascisti cesenati, che poi li trasferirono al carcere giudiziario «Caterina Sforza» di Forlì. Da qui il 5 (Bernard) il 17 settembre (Helene) vennero prelevati con altri prigionieri, portati all’Aeroporto di Forlì, condotti sull’orlo delle buche prodotte dalle bombe alleate nel campo, uccisi con un colpo alla testa e spinti nel cratere.

La madre di Helene, Henriette Uiberall, che era stata risparmiata dai fascisti in considerazione della sua età avanzata, rimase nella casa di San Vittore, accudita dalla famiglia di don Adamo Carloni, fratellastro di don Lazzaro, fino al passaggio del fronte, avvenuto più di due mesi dopo.

La città di Cesena ha intitolato loro una via, “via Coniugi Brumer“, e la città di Cesenatico ha intitolato loro un parco pubblico.


Bibliografia: percorsisolidarieta.istorecofc.it

Joseph Loewsztein

Joseph Loewsztein, figlio di Boris Lowsztein e Salomona Brill è nato in Polonia a Varsavia il 27 marzo 1915. Si è trasferito in Italia nel 1933 per studiare medicina, a Palermo, dove si è laureato il 22 novembre 1939. Ha eseguito il tirocinio pratico di sei mesi, ma per causa di una nefrite non ha potuto sostenere gli esami di Stato (lew9).

Lettera di Josef del 16 dicembre del 1940 in cui ricorda il suo percorso universitario

Il 14 giugno 1940 viene fermato e incarcerato dalla Prefettura di Palermo perché “elemento pericoloso e sospetto di esercitare attività contraria all’interesse nazionale”.

Comunicazione del Prefetto di Palermo che informa dell’arresto di Josef e ne propone l’internamento, 14 giugno 1940

Ne viene proposto l’internamento, che è disposto il 22 giugno nel campo di Ferramonti di Tarsia (lew2-lew3), prima però arriva al campo di Campagna (lew4) dove arriva il 16 luglio 1940 [lew5].

Dato che a Palermo riceveva rimesse dai genitori, non si ritiene bisognoso del sussidio. Loewsztein spiega di non ricevere più da giugno ’39 quella rimessa, per le limitazioni cui sono sottoposte i genitori in Polonia. Il sussidio viene autorizzato.

Il 16 dicembre chiede di poter sostenere gli esami di Stato (lew9) di abilitazione (“a Bologna o Roma”), motivando la sua intenzione di trasferirsi negli Usa. Il Ministero risponde che gli ebrei possono sostenere l’esame di stato solo nella sessione immediatamente successiva alla laurea; quindi a lui è preclusa.

Il 13 ottobre 1941 chiede di essere trasferito a Monteroduni, dove ha uno zio materno; la domanda è respinta il 20 novembre.

Il 17 febbraio 1942 scrive all’Interno denunciando una disturbo dermatologico, e chiede una terapia di raggi UV in ospedale.

Il 7 marzo il Ministero dell’Interno dà parere favorevole a una visita del medico provinciale, che dovrà verificare l’idoneità di Loewsztein alla vita del campo di concentramento. Il primo aprile il direttore, dopo la visita del medico provinciale, afferma che Loewsztein è idoneo alla vita del campo. Il 14 aprile l’internato torna a chiedere una visita del medico provinciale per ottenere un ricovero in ospedale. Il 12 maggio la prefettura comunica al Ministero che anche dalla nuova visita non è emersa la necessità di ricovero. Il 22 dicembre 1942 chiede di essere trasferito a Piandimeleto per convivere con un cugino.

La domanda viene accolta il 3 marzo 1943.

Ad aprile 1943 internato a Piandimeleto (PU); il 20 luglio dichiara di rinunziare al sussidio, il 12 giugno chiede un sussidio alimentare. A settembre dello stesso anno va a Sant’Angelo in Vado (PU).

Riuscì a sfuggire agli arresti del tre dicembre 1943 volti a catturare gli ebrei presenti nella provincia di Pesaro, ma fu fermato il giorno dopo e portato in carcere a Urbino; ne uscì solo a inizio agosto con obbligo di residenza. La polizia tedesca lo arrestò il 12 agosto nell’ospedale di Urbino, dove era nascosto, e lo portò al carcere di Forlì.

Coniugi Paecht-Rosenzweig

Karl Pacht e Maria Rosenzweig

 

Karl Joseph Paecht, figlio di Adolf Paecht e Sofia Noe è nato in a Cernauti (Impero austro-ungarico, Romania dopo la prima guerra mondiale, Urss dopo la seconda guerra mondiale, oggi Ucraina) il 22 maggio 1888.

Maria Rosenzweig, figlia di Benzion Rosenzweig e Gisella Sinag è nata in Ungheria a Preszmysl nel 1897. Coniugata con Karl Joseph Paecht. Modista. Con Karl Joseph ebbe un figlio nel 1925.

I Paecht si trasferirono a Lubiana, e di lì decisero di cercare rifugio dal nazi-fascismo partirono per cercare di raggiungere la Palestina, anche se alle autorità risultava come destinazione la Tailandia. Quello stesso anno i 304 ebrei in viaggio furono prima internati a Bengasi nel giugno 1940 e poi fatti tornare in Italia.

Furono internati nel settembre 1940 nel campo di concentramento di Ferramonti di Tarsia (CS).

Il 27 agosto il Ministero dispone il trasferimento in provincia de l’Aquila.

Documento che certifica l’internamento a Ferramonti

Il 12 settembre 1941 sono trasferiti a Pescina (AQ).

Il 26 settembre 1941 l’ospedale civile di Pescina certifica le condizioni di salute dei due, riferite nella lettera del 5 ottobre 1941 da Pacht, che chiede di poter fare una visita a L’Aquila per disturbi gastrointestinali e visivi, accompagnato dalla moglie che abbisogna visite oculisitche, e invia il certificato; il medico provinciale esprime parere favorevole il 16 ottobre e invia l’incartamento al Ministero.

L’8 ottobre i coniugi chiedono che venga internato con lui il figlio Giorgio Walter, sedicenne rifugiatosi in Francia.

Il 22 ottobre 1941 il Ministero nega l’ingresso nel Regno del figlio.

Parere negativo del Ministero al ricongiungimento famigliare

Il 22 ottobre Pacht chiede la maggiorazione del sussidio per la moglie:

Perché col sussidio ridotto (lt 12 al giorno -8 lui, 4 lei- + lt 50 per affitto] non riescono a sostenere le spese [e le camere costano a Pescina dalle 100 alle 120 lire), domanda respinta.

Il 27 marzo 1942 l’ospedale civile Rinaldi di Pescina certifica che Pacht e moglie sono affetti il primo da ulcera gastroduodenale e la seconda da reumatismo cronico con insufficienza cardiaca.

La domanda di ripristino del sussidio intero è ripresentata il 20 aprile 1942 sempre da Pescina. In una lettera, Maria spiega l’oscillare del sussidio; da l.8 a testa percepiti a Ferramonti, dove peraltro l’alloggio era senza costi, il sussidio era stato ridotto a lei a 4 lire al giorno, e le era stato tolto il sussidio per l’alloggio nonostante nell’aquilano l’alloggio non fosse incluso e il costo della vita fosse maggiore. Nota Maria come in altri comuni dell’Aquilano le mogli degli internati percepiscono il medesimo sussidio, e fa presente le pessime condizioni di salute che comportano spese medicinali sostenute per cui allega certificati medici; lui è affetto da ulcera pepticale, lei soffre di pleurite, reumatismo articolare, miocardite reumatica, e abbisogna di trattamento dietetico particolare.

In una lettera, Maria spiega l’oscillare del sussidio; da l.8 a testa percepiti a Ferramonti, dove peraltro l’alloggio era senza costi, il sussidio era stato ridotto a lei a 4 lire al giorno, e le era stato tolto il sussidio per l’alloggio nonostante nell’aquilano l’alloggio non fosse incluso e il costo della vita fosse maggiore. Nota Maria come in altri comuni dell’Aquilano le mogli degli internati percepiscono il medesimo sussidio, e fa presente le pessime condizioni di salute che comportano spese medicinali sostenute per cui allega certificati medici; lui è affetto da ulcera pepticale, lei soffre di pleurite, reumatismo articolare, miocardite reumatica, e abbisogna di trattamento dietetico particolare. Anche questa volta la domanda è respinta il 2 maggio 1942, con l’aggiunta che se gli internati non riescono a mantenersi col sussidio corrisposto saranno trasferiti a Ferramonti.

Documento che accompagna la nuova richiesta di maggiorazione sussidio

Il 24 ottobre 1942 la casa di cura annessa all’ospedale Rinaldi di Pescina certifica che Maria è affetta da reumatismo cronico poliartritico e lieve insufficienza cardiaca, e consiglia trasferimento in zona a clima caldo-asciutto o marino.

Il 24 ottobre 1942 Pacht scrive al Ministero allegando certificato medico per chiede il trasferimento in zona a clima caldo-asciutto o marino. Il medico provinciale esprime parere favorevole e lo acclude alla domanda il 7 novembre 1942. Sempre il 7 novembre la prefettura de l’Aquila trasmette al ministero l’istanza.

Il 15 dicembre 1942 l’ospedale civile di Pescina certifica le condizioni di Maria e di Pacht suggerendo il trasferimento a località dal clima marittimo.

Il 17 dicembre 1942 vengono trasferiti in provincia di Pesaro, poi a Sant’Angelo in Vado il 20 dicembre.

Il 10 agosto 1942 la società di trasporti Julia-Intertrans scrive di 10 colli (8 casse peso totale 826 kg, più 2 bauli da 160 kg, totale 986 kg) rimasti nei loro depositi per conto di Pacht e signora, al momento internato a Pescina; il ministero delle finanze aveva autorizzato lo svincolo in franchigia doganale, ma è necessaria la presenza del proprietario.

Il 20 agosto Pacht invia tramite Prefettura una richiesta al ministero dell’Interno per recarsi con la moglie a ritirare i colli.

Il 6 ottobre ’42 la Prefettura di Trieste dà parere contrario perché i colli sono già stati sdoganati da correligionari, che quindi potrebbero anche venderli.

Il 15 ottobre 1942 la domanda è respinta. Il 21 dicembre scrive Maria al Ministero chiedendo di potersi recare lei a compiere la vendita.

Il 22 gennaio 1943 la Prefettura di Trieste autorizza il permesso di 15 giorni di licenza solo per la moglie, non ritenendo necessaria la presenza di Pacht. Il ministero autorizza il 15 febbraio e lo comunica il 18 febbraio.

Il 15 marzo 1943 il Podestà autorizza Volpi Giuseppe ad accompagnare Maria a Urbino per una visita.

Il 22 marzo 1943 dato il peggioramento delle condizioni di salute Pacht chiede un sussidio supplementare per ambedue.

Sempre il 22 marzo 1943 Pacht chiede di poter accompagnare la moglie, che si è ammalata di peritonite, a Trieste, perché nel soggiorno a Trieste si sarebbe operata.

Il 25 marzo 1943 l’ospedale civile San Paolo di Sant’Angelo certifica le condizioni della signora Maria.

L’8 maggio 1943 verificato che i coniugi non hanno precedenti la prefettura di Trieste autorizza anche Pacht ad accompagnare la moglie.

Il 21 maggio 1943 il medico provinciale di Pesaro-Urbino chiede l’incremento del sussidio alimentare di l.2 per mesi 3 cadauno,e rileva come il clima di S. Angelo sia idoneo alle loro condizioni di salute.

La prefettura di Pesaro e Urbino autorizza entrambi il 14 giugno 1943.

Il 1 luglio la Prefettura di Trieste emette il foglio di via per Pesaro indicando che i due non hanno dato luogo a rilievi di sorta.

Riuscirono a evitare gli arresti nella retata del tre dicembre 1943 volta a catturare gli ebrei presenti nella provincia di Pesaro, ma furono fermati il giorno dopo e, viste le cattive condizioni di salute di Paecht, furono mandati agli arresti domiciliari e poi riassegnati all’internamento a Sant’Angelo in Vado, dove risiedevano in tutto una ventina di ebrei internati presso case di privati. I Pacht, come riporta Maria in una lettera al figlio, furono internati a Comeriziolo, in un podere a 6 km da Sant’Angelo.Da inizio marzo 1944 si resero irreperibili e da maggio ad agosto vissero nel podere di Annibale e Augusta Bigini, nei pressi di Sant’Angelo in Vado. L’8 agosto si diffuse attraverso la radio nazionale in paese la notizia di un imminente rastrellamento, grazie anche all’aiuto di Maria Storti, ragazza di Sant’Angelo che ospitava due internati medici ebrei, venne organizzata una fuga; gli ebrei furono tutti condotti a Pieve dei Graticcioli, dove furono ospitati da don Augusto Giombini, che già in passato aveva ospitato partigiani e renitenti alla leva. Le forze dell’ordine organizzarono una spedizione notturna di ricerca; all’arrivo della polizia, in molti fuggirono nei boschi, mentre altri, demoralizzati dalle continue fughe, si lasciarono arrestare. Fu così per i coniugi Pacht. Dell’episodio si trova puntuale riscontro nel telegramma alla questura di Pesaro che così recita: “internati ebrei cui telegramma ieri stati rintracciati questa notte territorio Mercatello da militari arma locale”

Maria Rosenzweig e Karl Paecht finiranno nelle carceri di Urbania e nel locale ospedale, e di lì, il 12 agosto, trasferiti al carcere di Forlì. Il 13 vengono tradotti nottetempo a Forlì in autocarro. Karl Joseph venne fucilato il 5 settembre 1944 (Maria scrive al figlio che il padre è stato portato via il 5 settembre sera con altri otto ebrei a lavorare in Germania). Maria viene fucilata insieme alle altre donne il 17 settembre.

Traduzione della lettera scritta da Maria, al figlio Giorgio (a cui si fa riferimento nella dichiarazione della madre superiora Pierina Silvstri, suora delle carceri civili di Forlì).

Carcere Civile
Forlì, 13 settembre, 1944

Carissimo Giorgio, mio solo tesoro,

oggi è un mese che sono arrivata qui. La disgrazia avvenne l’otto agosto nel pomeriggio. Eravamo a Comeriziolo, in un podere a circa sei km da Sant’Angelo, in cui eravamo rimasti come sfollati per sei settimane, quando sette soldati tedeschi armati della polizia, ci hanno fatto prigionieri. Ci hanno perquisito i bauli, togliendoci tutti i documenti, le lettere, ecc. Poi ci hanno portato ad Urbania, vicino a Sant’Angelo, dove siamo stati detenuti dalla polizia fino al 12 agosto.

Siamo arrivati qui la mattina del 13 agosto, dopo una notte intera di viaggio su un autocarro. Il tuo povero padre fu portato via il cinque, di sera, con altri otto ebrei a lavorare in Germania.

Giorgio carissimo, fino a quando tuo padre era qui potevo almeno vederlo tra le sbarre guardando dalla finestra. La vera tragedia comincia quando sono rimasta qui sola, con il cuore straziato dalla pena e dalla tortura, al pensiero della fine che potrebbe aver fatto il tuo povero padre e di ciò che accadrà a me. Ci sono sette di noi qui, tutte ebree, che aspettano di essere portate via in ogni momento.

Ti sto dando tutte queste informazioni, caro Giorgio, cosicché quando la guerra sarà finita conoscerai tutti i dettagli necessari per rintracciarci o per sapere cosa ne è stato di noi.

La polizia ci ha consegnato al QG delle SS tedesche, noi ora dipendiamo da loro.

Tutte le proprietà di valore che avevamo addosso ci sono state confiscate, a tuo padre hanno preso 1370 lire e 1000 lire a me. Ci hanno tolto anche gli anelli nuziali, che noi tenevamo come sacri e come i simboli della nostra unione matrimoniale. Hanno portato via anche la sveglia che ci avevi regalato. Mi hanno lasciato una lira cosicché ho potuto comprare della frutta.

Ho aiutato tuo padre con la frutta per quanto ho potuto, ma ora, caro figlio, tuo padre è senza un soldo. Non ha né mezzi né vestiti invernali. Preghiamo solo Dio giorno e notte che ci aiuti e ci faccia ritrovare tutti insieme. Che Dio ci aiuti presto e ci salvi. Le cose sono molto tristi per noi; il mio solo desiderio ora è quello di salvare la mia vita e di trovare tuo padre sano e salvo e te carissimo figlio.

Se sarà desiderio di Dio quello di non salvarci, mio carissimo Giorgio, sarò felice se un giorno potrai venire a Sant’Angelo in Vado a trovare la nostra cara padrona di casa, insegnante, Signorina Wilma Clementi, via Zuccari n. 18. Questo spirito nobile e sua sorella Edda, sono state molto gentili con noi; ci hanno sempre aiutato e ci sono state vicine nei momenti di sconforto.

In quest’ora così grave il mio spirito è con loro e con i loro figli, e pure con il marito di Edda, Carlo. Il mio cuore è pieno di gratitudine e salute. Con Wilma sono rimaste tre scatole piene di nostre proprietà, magari è riuscita a salvare qualcosa. Forse è riuscita a tenersi le mie due pellicce, una macchina da scrivere Olivetti, un po’ di argenteria e della biancheria. Tutte le altre cose ci sono state tolte dai tedeschi, e dopo l’arresto ci è stato preso tutto quello che avevamo addosso.

A Camerigiolo, l’ultimo posto dove abbiamo alloggiato, i padroni di casa, Annibale e Augusta Bigini, erano nostri amici. Magari riuscirai a trovare anche loro a Sant’Angelo in Vado, a casa loro in piazza Garibaldi. Erano presenti quando ci hanno portato via. Ho consegnato alla Signora Augusta una scatola che ci era stata spedita da G. B. il cugino di tuo padre. Forse questa scatola è stata tenuta per te. Il Signor Annibale teneva i nostri due bauli nel suo armadio. Uno era pieno di vestiti, mentre nell’altro c’era della biancheria.

Vedrai se questi oggetti sono ancora là. Non troverai il secondo baule con i vestiti e gli oggetti di valore e neppure la borsa grande con la biancheria da letto poiché erano nel rifugio dove vivevamo. Ma troverai sicuramente tutto quello che Wilma è riuscita a tenere per te, a casa sua.

Mentre ero qui, in prigione ho consegnato due fotografie alla sorella Valeriana che con me è stata come una madre. Le fotografie sono tue, di quando eri bambino; le ho consegnato anche un diario su di te del 1925, scritto da me. Le ho dato anche una penna stilografica, un regalo che mi fece tuo padre nel 1938, una comune collana di corallo, e altre tre spille. Tieni queste cose caro Giorgio, come le ultime cose di tua madre e come ultimo saluto.

Se Dio vuole, tutto potrebbe ancora finire bene, e noi potremo ancora ritrovarci tutti insieme ed essere felici. Chiedo a Dio con tutto il mio cuore e il mio spirito questa grazia. Sono molto modesta adesso, Giorgio. Non penso a cose terrene, il mio solo pensiero è quello di ritrovare tuo padre e di poter stare ancora con te. Se Dio mi farà questa grazia sarò felice con quel poco che possiedo.

Non chiedo nient’altro, carissimo Giorgio, e spero che tu sia in buona salute e in buone condizioni. L’ultima volta che abbiamo ricevuto tue notizie è stato con il telegramma del 19 agosto ’43; il giorno del mio compleanno. Tutte le altre lettere dal luglio ’44 al dicembre ’43, ci sono state rispedite nel ’44 con un francobollo che diceva “servizio sospeso”. Abbiamo spedito alcuni messaggi attraverso la Croce Rossa. Non sappiamo cosa tu stia facendo né dove tu sia al momento, carissimo figlio.

Spero che tu sia in grande di studiare come hai sempre desiderato, carissimo Giorgio. Quando eri piccolo sei sempre stato la mia gioia e il solo scopo della mia vita. È stato il volere di Dio che ci separassimo quando eri ancora un bambino, a soli 14 anni. Sono passati più di sei anni da quando ci siamo separati. In questi anni sarai cresciuto molto, figlio mio; avrai anche sofferto, caro. Quanto sto aspettando ed ho aspettato il giorno in cui ti potrò riabbracciare.

Adesso, mentre scrivo questa lettera, e credo che il buon Dio ci farà la grazia, mi faccio coraggio e paziento. Giorgio, caro, immagino che tu sia un uomo buono e bello; come vorrei poterti vedere, forte, coraggioso e capace di crearti una vita indipendente. Vorrei vederti sposato ad una brava ragazza che sia in grado di darti la felicità che desideri. Vorrei poter vedere i tuoi figli; mi piacerebbe avere un nipotino mio.

Dio, fammi la grazia di riuscire a vivere per te e per tuo padre. Sii buono mio caro figlio e moderato in tutto. Non chiedere troppo dalla vita. Se sarai abbastanza fortunato di vivere nell’abbondanza, pensa sempre a coloro che sono poveri e sfortunati. La fortuna va e viene, così […]

Stamane ci portano via. Non so dove, forse a lavorare da qualche parte. Spero di rivederti presto, mio caro Giorgio. Ti abbraccio forte.

Tua mamma

Karl Joseph Paecht, figlio di Adolf Paecht e Sofia Noe è nato in a Cernauti (Impero austro-ungarico, Romania dopo la prima guerra mondiale, Urss dopo la seconda guerra mondiale, oggi Ucraina) il 22 maggio 1888.

Maria Rosenzweig, figlia di Benzion Rosenzweig e Gisella Sinag è nata in Ungheria a Preszmysl nel 1897. Coniugata con Karl Joseph Paecht. Modista. Con Karl Joseph ebbe un figlio nel 1925.

I Paecht si trasferirono a Lubiana, e di lì decisero di cercare rifugio dal nazi-fascismo partirono per cercare di raggiungere la Palestina, anche se alle autorità risultava come destinazione la Tailandia. Quello stesso anno i 304 ebrei in viaggio furono prima internati a Bengasi nel giugno 1940 e poi fatti tornare in Italia.

Documento che certifica l’internamento a Ferramonti

Furono internati nel settembre 1940 nel campo di concentramento di Ferramonti di Tarsia (CS).

Il 27 agosto il Ministero dispone il trasferimento in provincia de l’Aquila [pacht2-pacht3];

Documento del direttore del campo di Ferramonti

Il 12 settembre 1941 trasferiti a Pescina (AQ).

Il 26 settembre 1941 l’ospedale civile di Pescina certifica le condizioni di salute dei due, riferite nella lettera del 5 ottobre 1941 da Pacht, che chiede di poter fare una visita a L’Aquila per disturbi gastrointestinali e visivi, accompagnato dalla moglie che abbisogna visite oculisitche, e invia il certificato; il medico provinciale esprime parere favorevole il 16 ottobre e invia l’incartamento al Ministero;

 

L’8 ottobre i coniugi chiedono che venga internato con lui il figlio Giorgio Walter, sedicenne rifugiatosi in Francia.

Il 22 ottobre 1941 il Ministero nega l’ingresso nel Regno del figlio.

 

Parere negativo del Ministero al ricongiungimento famigliare

 

Il 22 ottobre Pacht chiede la maggiorazione del sussidio per la moglie:

Perché col sussidio ridotto (lt 12 al giorno -8 lui, 4 lei- + lt 50 per affitto] non riescono a sostenere le spese [e le camere costano a Pescina dalle 100 alle 120 lire), domanda respinta.

Il 27 marzo 1942 l’ospedale civile Rinaldi di Pescina certifica che Pacht e moglie sono affetti il primo da ulcera gastroduodenale e la seconda da reumatismo cronico con insufficienza cardiaca.

La domanda di ripristino del sussidio intero è ripresentata il 20 aprile 1942 sempre da Pescina. In una lettera, Maria spiega l’oscillare del sussidio; da l.8 a testa percepiti a Ferramonti, dove peraltro l’alloggio era senza costi, il sussidio era stato ridotto a lei a 4 lire al giorno, e le era stato tolto il sussidio per l’alloggio nonostante nell’aquilano l’alloggio non fosse incluso e il costo della vita fosse maggiore. Nota Maria come in altri comuni dell’Aquilano le mogli degli internati percepiscono il medesimo sussidio, e fa presente le pessime condizioni di salute che comportano spese medicinali sostenute per cui allega certificati medici; lui è affetto da ulcera pepticale, lei soffre di pleurite, reumatismo articolare, miocardite reumatica, e abbisogna di trattamento dietetico particolare.

Certificato medico dell’Ospedale di Pescina

In una lettera, Maria spiega l’oscillare del sussidio; da l.8 a testa percepiti a Ferramonti, dove peraltro l’alloggio era senza costi, il sussidio era stato ridotto a lei a 4 lire al giorno, e le era stato tolto il sussidio per l’alloggio nonostante nell’aquilano l’alloggio non fosse incluso e il costo della vita fosse maggiore. Nota Maria come in altri comuni dell’Aquilano le mogli degli internati percepiscono il medesimo sussidio, e fa presente le pessime condizioni di salute che comportano spese medicinali sostenute per cui allega certificati medici; lui è affetto da ulcera pepticale, lei soffre di pleurite, reumatismo articolare, miocardite reumatica, e abbisogna di trattamento dietetico particolare. Anche questa volta la domanda è respinta il 2 maggio 1942, con l’aggiunta che se gli internati non riescono a mantenersi col sussidio corrisposto saranno trasferiti a Ferramonti.

Domanda respinta con però possibilità di trasferimento a Ferramonti

Il 24 ottobre 1942 la casa di cura annessa all’ospedale Rinaldi di Pescina certifica che Maria è affetta da reumatismo cronico poliartritico e lieve insufficienza cardiaca, e consiglia trasferimento in zona a clima caldo-asciutto o marino.

Certificato dell’Ospedale di Pescina

 

Il 24 ottobre 1942 Pacht scrive al Ministero allegando certificato medico per chiede il trasferimento in zona a clima caldo-asciutto o marino. Il medico provinciale esprime parere favorevole e lo acclude alla domanda il 7 novembre 1942. Sempre il 7 novembre la prefettura de l’Aquila trasmette al ministero l’istanza.

Il 15 dicembre 1942 l’ospedale civile di Pescina certifica le condizioni di Maria e di Pacht suggerendo il trasferimento a località dal clima marittimo.

Il 17 dicembre 1942 vengono trasferiti in provincia di Pesaro, poi a Sant’Angelo in Vado il 20 dicembre.

Certificati medici dei coniugi

 

Il 10 agosto 1942 la società di trasporti Julia-Intertrans scrive di 10 colli (8 casse peso totale 826 kg, più 2 bauli da 160 kg, totale 986 kg) rimasti nei loro depositi per conto di Pacht e signora, al momento internato a Pescina; il ministero delle finanze aveva autorizzato lo svincolo in franchigia doganale, ma è necessaria la presenza del proprietario.

Il 20 agosto Pacht invia tramite Prefettura una richiesta al ministero dell’Interno per recarsi con la moglie a ritirare i colli.

Il 6 ottobre ’42 la Prefettura di Trieste dà parere contrario perché i colli sono già stati sdoganati da correligionari, che quindi potrebbero anche venderli.

Il 15 ottobre 1942 la domanda è respinta. Il 21 dicembre scrive Maria al Ministero chiedendo di potersi recare lei a compiere la vendita.

Il 22 gennaio 1943 la Prefettura di Trieste autorizza il permesso di 15 giorni di licenza solo per la moglie, non ritenendo necessaria la presenza di Pacht. Il ministero autorizza il 15 febbraio e lo comunica il 18 febbraio.

Il 15 marzo 1943 il Podestà autorizza Volpi Giuseppe ad accompagnare Maria a Urbino per una visita.

 

Il 22 marzo 1943 dato il peggioramento delle condizioni di salute Pacht chiede un sussidio supplementare per ambedue.

Sempre il 22 marzo 1943 Pacht chiede di poter accompagnare la moglie, che si è ammalata di peritonite, a Trieste, perché nel soggiorno a Trieste si sarebbe operata.

Il 25 marzo 1943 l’ospedale civile San Paolo di Sant’Angelo certifica le condizioni della signora Maria.

L’8 maggio 1943 verificato che i coniugi non hanno precedenti la prefettura di Trieste autorizza anche Pacht ad accompagnare la moglie.

Il 21 maggio 1943 il medico provinciale di Pesaro-Urbino chiede l’incremento del sussidio alimentare di l.2 per mesi 3 cadauno,e rileva come il clima di S. Angelo sia idoneo alle loro condizioni di salute.

La prefettura di Pesaro e Urbino autorizza entrambi il 14 giugno 1943

 

Il 1 luglio la Prefettura di Trieste emette il foglio di via per Pesaro indicando che i due non hanno dato luogo a rilievi di sorta.

 

Riuscirono a evitare gli arresti nella retata del tre dicembre 1943 volta a catturare gli ebrei presenti nella provincia di Pesaro, ma furono fermati il giorno dopo e, viste le cattive condizioni di salute di Paecht, furono mandati agli arresti domiciliari e poi riassegnati all’internamento a Sant’Angelo in Vado, dove risiedevano in tutto una ventina di ebrei internati presso case di privati. I Pacht, come riporta Maria in una lettera al figlio, furono internati a Comeriziolo, in un podere a 6 km da Sant’Angelo.Da inizio marzo 1944 si resero irreperibili e da maggio ad agosto vissero nel podere di Annibale e Augusta Bigini, nei pressi di Sant’Angelo in Vado. L’8 agosto si diffuse attraverso la radio nazionale in paese la notizia di un imminente rastrellamento, grazie anche all’aiuto di Maria Storti, ragazza di Sant’Angelo che ospitava due internati medici ebrei, venne organizzata una fuga; gli ebrei furono tutti condotti a Pieve dei Graticcioli, dove furono ospitati da don Augusto Giombini, che già in passato aveva ospitato partigiani e renitenti alla leva. Le forze dell’ordine organizzarono una spedizione notturna di ricerca; all’arrivo della polizia, in molti fuggirono nei boschi, mentre altri, demoralizzati dalle continue fughe, si lasciarono arrestare. Fu così per i coniugi Pacht. Dell’episodio si trova puntuale riscontro nel telegramma alla questura di Pesaro che così recita: “internati ebrei cui telegramma ieri stati rintracciati questa notte territorio Mercatello da militari arma locale”

Maria Rosenzweig e Karl Paecht finiranno nelle carceri di Urbania e nel locale ospedale, e di lì, il 12 agosto, trasferiti al carcere di Forlì. Il 13 vengono tradotti nottetempo a Forlì in autocarro. Karl Joseph venne fucilato il 5 settembre 1944 (Maria scrive al figlio che il padre è stato portato via il 5 settembre sera con altri otto ebrei a lavorare in Germania). Maria viene fucilata insieme alle altre donne il 17 settembre.

Traduzione della lettera scritta da Maria, al figlio Giorgio (a cui si fa riferimento nella dichiarazione della madre superiora Pierina Silvstri, suora delle carceri civili di Forlì).

Carcere Civile
Forlì, 13 settembre, 1944

Carissimo Giorgio, mio solo tesoro,

oggi è un mese che sono arrivata qui. La disgrazia avvenne l’otto agosto nel pomeriggio. Eravamo a Comeriziolo, in un podere a circa sei km da Sant’Angelo, in cui eravamo rimasti come sfollati per sei settimane, quando sette soldati tedeschi armati della polizia, ci hanno fatto prigionieri. Ci hanno perquisito i bauli, togliendoci tutti i documenti, le lettere, ecc. Poi ci hanno portato ad Urbania, vicino a Sant’Angelo, dove siamo stati detenuti dalla polizia fino al 12 agosto.

Siamo arrivati qui la mattina del 13 agosto, dopo una notte intera di viaggio su un autocarro. Il tuo povero padre fu portato via il cinque, di sera, con altri otto ebrei a lavorare in Germania.

Giorgio carissimo, fino a quando tuo padre era qui potevo almeno vederlo tra le sbarre guardando dalla finestra. La vera tragedia comincia quando sono rimasta qui sola, con il cuore straziato dalla pena e dalla tortura, al pensiero della fine che potrebbe aver fatto il tuo povero padre e di ciò che accadrà a me. Ci sono sette di noi qui, tutte ebree, che aspettano di essere portate via in ogni momento.

Ti sto dando tutte queste informazioni, caro Giorgio, cosicché quando la guerra sarà finita conoscerai tutti i dettagli necessari per rintracciarci o per sapere cosa ne è stato di noi.

La polizia ci ha consegnato al QG delle SS tedesche, noi ora dipendiamo da loro.

Tutte le proprietà di valore che avevamo addosso ci sono state confiscate, a tuo padre hanno preso 1370 lire e 1000 lire a me. Ci hanno tolto anche gli anelli nuziali, che noi tenevamo come sacri e come i simboli della nostra unione matrimoniale. Hanno portato via anche la sveglia che ci avevi regalato. Mi hanno lasciato una lira cosicché ho potuto comprare della frutta.

Ho aiutato tuo padre con la frutta per quanto ho potuto, ma ora, caro figlio, tuo padre è senza un soldo. Non ha né mezzi né vestiti invernali. Preghiamo solo Dio giorno e notte che ci aiuti e ci faccia ritrovare tutti insieme. Che Dio ci aiuti presto e ci salvi. Le cose sono molto tristi per noi; il mio solo desiderio ora è quello di salvare la mia vita e di trovare tuo padre sano e salvo e te carissimo figlio.

Se sarà desiderio di Dio quello di non salvarci, mio carissimo Giorgio, sarò felice se un giorno potrai venire a Sant’Angelo in Vado a trovare la nostra cara padrona di casa, insegnante, Signorina Wilma Clementi, via Zuccari n. 18. Questo spirito nobile e sua sorella Edda, sono state molto gentili con noi; ci hanno sempre aiutato e ci sono state vicine nei momenti di sconforto.

In quest’ora così grave il mio spirito è con loro e con i loro figli, e pure con il marito di Edda, Carlo. Il mio cuore è pieno di gratitudine e salute. Con Wilma sono rimaste tre scatole piene di nostre proprietà, magari è riuscita a salvare qualcosa. Forse è riuscita a tenersi le mie due pellicce, una macchina da scrivere Olivetti, un po’ di argenteria e della biancheria. Tutte le altre cose ci sono state tolte dai tedeschi, e dopo l’arresto ci è stato preso tutto quello che avevamo addosso.

A Camerigiolo, l’ultimo posto dove abbiamo alloggiato, i padroni di casa, Annibale e Augusta Bigini, erano nostri amici. Magari riuscirai a trovare anche loro a Sant’Angelo in Vado, a casa loro in piazza Garibaldi. Erano presenti quando ci hanno portato via. Ho consegnato alla Signora Augusta una scatola che ci era stata spedita da G. B. il cugino di tuo padre. Forse questa scatola è stata tenuta per te. Il Signor Annibale teneva i nostri due bauli nel suo armadio. Uno era pieno di vestiti, mentre nell’altro c’era della biancheria.

Vedrai se questi oggetti sono ancora là. Non troverai il secondo baule con i vestiti e gli oggetti di valore e neppure la borsa grande con la biancheria da letto poiché erano nel rifugio dove vivevamo. Ma troverai sicuramente tutto quello che Wilma è riuscita a tenere per te, a casa sua.

Mentre ero qui, in prigione ho consegnato due fotografie alla sorella Valeriana che con me è stata come una madre. Le fotografie sono tue, di quando eri bambino; le ho consegnato anche un diario su di te del 1925, scritto da me. Le ho dato anche una penna stilografica, un regalo che mi fece tuo padre nel 1938, una comune collana di corallo, e altre tre spille. Tieni queste cose caro Giorgio, come le ultime cose di tua madre e come ultimo saluto.

Se Dio vuole, tutto potrebbe ancora finire bene, e noi potremo ancora ritrovarci tutti insieme ed essere felici. Chiedo a Dio con tutto il mio cuore e il mio spirito questa grazia. Sono molto modesta adesso, Giorgio. Non penso a cose terrene, il mio solo pensiero è quello di ritrovare tuo padre e di poter stare ancora con te. Se Dio mi farà questa grazia sarò felice con quel poco che possiedo.

Non chiedo nient’altro, carissimo Giorgio, e spero che tu sia in buona salute e in buone condizioni. L’ultima volta che abbiamo ricevuto tue notizie è stato con il telegramma del 19 agosto ’43; il giorno del mio compleanno. Tutte le altre lettere dal luglio ’44 al dicembre ’43, ci sono state rispedite nel ’44 con un francobollo che diceva “servizio sospeso”. Abbiamo spedito alcuni messaggi attraverso la Croce Rossa. Non sappiamo cosa tu stia facendo né dove tu sia al momento, carissimo figlio.

Spero che tu sia in grande di studiare come hai sempre desiderato, carissimo Giorgio. Quando eri piccolo sei sempre stato la mia gioia e il solo scopo della mia vita. È stato il volere di Dio che ci separassimo quando eri ancora un bambino, a soli 14 anni. Sono passati più di sei anni da quando ci siamo separati. In questi anni sarai cresciuto molto, figlio mio; avrai anche sofferto, caro. Quanto sto aspettando ed ho aspettato il giorno in cui ti potrò riabbracciare.

Adesso, mentre scrivo questa lettera, e credo che il buon Dio ci farà la grazia, mi faccio coraggio e paziento. Giorgio, caro, immagino che tu sia un uomo buono e bello; come vorrei poterti vedere, forte, coraggioso e capace di crearti una vita indipendente. Vorrei vederti sposato ad una brava ragazza che sia in grado di darti la felicità che desideri. Vorrei poter vedere i tuoi figli; mi piacerebbe avere un nipotino mio.

Dio, fammi la grazia di riuscire a vivere per te e per tuo padre. Sii buono mio caro figlio e moderato in tutto. Non chiedere troppo dalla vita. Se sarai abbastanza fortunato di vivere nell’abbondanza, pensa sempre a coloro che sono poveri e sfortunati. La fortuna va e viene, così […]

Stamane ci portano via. Non so dove, forse a lavorare da qualche parte. Spero di rivederti presto, mio caro Giorgio. Ti abbraccio forte.

Tua mamma

Famiglia Amsterdamer

Arthur Amsterdam

Joseph David Amsterdam

Nato in Polonia, trasferitosi a Offenbach sul Meno (Germania) nel 1903 dopo essersi sposato l’anno precedente con Sara Jalka Richter. Industriale del settore della pelletteria, si trasferì con la famiglia in Italia, a Milano, in via Porpora, dopo l’episodio della Notte dei Cristalli.

Arthur Amsterdam

Figlio di Joseph David Amsterdam e Sara Jalka Richter è nato in Germania a Offenbach il 27 marzo 1922.

Eva Rachele Amsterdam

Una terza figlia fu messa in salvo già a fine anni Trenta; mandata in Inghilterra, di lì si sarebbe trasferita a New York, dove si sposerà nel 1940. Grazie a sua figlia, Margo Donovan, è stato possibile ricostruire parte delle vicende familiari.

Sara Jalka Richter

Sara Jalka Richter, figlia di Hirsch Richter e Rachele Leycovich è nata a Varsavia il 5 luglio 1876. Casalinga, coniugata con Joseph David Amsterdam nel 1902, madre di Arthur Amsterdam e di Selma Sara Amsterdam.

Selma Sara Amsterdam

Selma Sara Amsterdam, figlia adottiva di Joseph David Amsterdam e Sara Jalka Richter è nata in Polonia a Lodz l’ 11 marzo 1903. Figlia di una sorella di Sara Jalka.

(fonte: maggiolimazzoni.it)

Altri figli maschi

Secondo il sito “maggiolimazzoni.it”, vi erano altri due figli maschi: Gustavo Amsterdam e Chaim Henry.
Gustavo viveva in Polonia e Chaim Henry è in Gran Bretagna dal 1937, dovecombatterà con l’armata inglese.

Il padre, Josef, e il figlio, Arthur, furono internati ad Alberobello (BA) [041-044] dal 28 luglio 1940 [045].

Il 21 marzo 1941 Arthur chiede una licenza per recarsi a Milano a trovare la madre e la sorella, rimaste in città. Le due donne lavoravano in aeroporto e nel frattempo venivano sottoposte a “riservata vigilanza”.

Il 10 maggio Arthur e Josef chiedono una prima volta di essere riuniti con madre e sorella (053) in una sede ritenuta utile per ottenere il ricongiungimento, come certificato dalla Prefettura di Milano [051]. Dapprima, il 16 settembre, la domanda è respinta [060].

Il 18 dicembre 1941, anche la madre, con la figlia, chiede [030] e ottenne [026] di essere internata per accudire il marito Josef e il figlio Arthur che per questo motivo avevano chiesto di essere trasferiti da Alberobello (033) a Ferrmignano (PU) [034].

Sia a lei che alla figlia viene corrisposto il sussidio (017). La domanda [023]viene accolta perché le due vivono a Milano col solo aiuto della comunità ebraica [055] e sono di regolare condotta.

Nel marzo ‘41 il marito chiede il permesso di recarsi a Milano per visitare la madre sofferente. [050] La prefettura di Milano nega il permesso[051-052]

Nel dicembre 42 la prefettura nega nuovamente il permesso [010].

Dopo un’ulteriore richiesta di trasferimento a Ferramonti di Tarsia (058-062) datata 2 luglio 1941, e ribadita anche da moglie e figlia il 4 settembre [059]. IL 3 ottobre 1941 emerge l’impossibilità di trasferirli a Ferramonti (037) La domanda viene ri-presentata l’11 ottobre 1941, motivata per le condizioni di salute del padre, che potrebbe essere assistito dalla moglie.

La domanda viene accolta l’1 dicembre 1941 [031-032], e sono tutti trasferiti a Fermignano il 24/12/41.

A Fermignano, nell’ottobre ‘42 Arthur avanza una prima richiesta di potersi trasferire a Milano per lavorare [012]; nel luglio 1943 Arhtur chiese di ottenere un sussidio personale, poiché da considerarsi internato autonomo e non perché convivente col padre[002], ragione per cui riceveva un sussidio ridotto, di 4 lire [003].

La prefettura nega il sussidio perché Arthur è apolide; il sussidio viene erogato solo a stranieri maggiorenni appartenenti a nazioni con cui si è in guerra. Successivamente (006) gli viene corrisposto il sussidio perché disoccupato. Nel settembre ‘42 gli viene sospeso il sussidio [008]. A febbraio 1943 gli viene corrisposto nuovamente il sussidio ma ridotto (l.1.8) perché convivente di internato [008].

Nel novembre ’43 Arthur chiede di poter essere trasferito a Milano, dove potrebbe lavorare per mantenersi, per non gravare sui genitori [005-011].


Arthur, insieme ai famigliari, viene arrestato a Urbino i primi di dicembre del ’43 nella retata della provincia, ma è scarcerato il 5 agosto, perché giudicato non idoneo alla vita carceraria per motivi di salute. Viene internato a Urbino. In questo periodo diventa amico di Gaddo Morpurgo, giovane come lui.

Come Gaddo, viene aiutato da alcuni oppositori politici, attivi in città, tra cui Wanda Camerini e don Gino Ceccarini.

Il padre ottiene la scarcerazione e l’internamento di tutti e tre i familiari, ma il rilascio della figlia adottiva è rimandato rispetto a quello dei familiari.

Il tre dicembre 1943 Sara Jalka e i suoi figli furono arrestati nella retata degli ebrei della provincia di Pesaro; successivamente furono rilasciati per restare con il padre Joseph David gravemente malato a Fermignano (PU). La polizia tedesca li arrestò nuovamente il 06 agosto 1944 e la trasferì a Forlì. Con lei in carcere a Forlì furono detenuti anche i figli.

Il padre, rimasto in ospedale, sopravvisse alla guerra ma morì il 29 marzo 1947 per un malore alla notizia della morte della moglie e dei due figli. È sepolto nel cimitero del Verano a Roma.

Articolo della nipote Margo Donovan